10.1.12

Difendiamo i beni comuni dalle liberalizzazioni - verso Napoli 28/01

È necessaria una  grande battaglia di civiltà contro la privatizzazione dei servizi  pubblici locali. E per dire al governo «tecnico» che l'acqua non si  tocca. Un grande appuntamento a Napoli il 28 gennaio, con  amministrazioni locali e movimenti.
Un governo "politico" in agosto ha violato la Costituzione reintroducendo, in contrasto con l'esito referendario  del 12 e 13 giugno 2011, meccanismi concorrenziali e logiche di mercato  per l'affidamento dei servizi pubblici locali (ad eccezione dei servizi  idrici), determinando un preoccupante scollamento tra democrazia  rappresentativa e democrazia partecipativa. Un governo "tecnico", nella osiddetta fase due della sua azione politica, vuole accelerare tale  processo, con l'obiettivo di reintrodurre privatizzazioni forzate anche  nel settore all'acqua. È bene allora ricordare che l'art. 4 d.l. n.  138/2011, convertito con la L. n. 148/2011 riproduce l'abrogato art. 23  bis del Decreto Ronchi, che trovava applicazione per tutti i servizi  pubblici locali (spl), prevalendo sulle discipline di settore con esso  incompatibili, salvo quanto previsto in materia di distribuzione di gas  naturale e di energia elettrica, gestione delle farmacie comunali,  trasporto ferroviario regionale. Attraverso procedure competitive ad  evidenza pubblica, da svolgersi nel rispetto della relativa normativa  comunitaria, gli spl potevano essere affidati ad imprenditori o a  società in qualunque forma costituite oppure a società a partecipazione  mista pubblica e privata (mediante il ricorso alla gara cosiddetta a  doppio oggetto), con l'attribuzione al socio privato di una  partecipazione non inferiore al 40%.
L'affidamento in house veniva  ammesso come deroga al regime ordinario, a patto che fossero presenti  «situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche  economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto  territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso  al mercato» e che si rispettasse la procedura indicata (svolgimento di  un'analisi del mercato per motivare la scelta dell'in house,  consultazione dell'Agcm). In ultimo, la norma abrogata prevedeva un  regime transitorio per gli affidamenti già in essere all'entrata in  vigore della disciplina, fissandone la scadenza ed una data certa per la  messa a gara, a seconda del tipo di affidamento e della natura  dell'ente gestore. La norma trovava applicazione per tutti i servizi  pubblici di rilevanza economica, come del resto era stato riconosciuto  dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 24 del 2011, la  quale, proprio in forza dell'applicazione estesa a tutti i servizi,  aveva ritenuto il primo quesito rispettoso del requisito di omogeneità,  richiesto ai fini dell'ammissibilità dalla giurisprudenza della  Consulta. 
L'abrogazione referendaria dell'art. 23 bis, come indicato  dalla stessa Corte Costituzionale, non determinava né la reviviscenza  dell'art. 113 Tuel né tanto meno creava una lacuna normativa, giacché la  disciplina comunitaria poteva infatti trovare diretta applicazione nel  nostro ordinamento, anche in assenza di una intervento nazionale di  adeguamento. Tale cornice giuridica ha avuto una assai breve  vigenza: l'articolo 4 è stato infatti introdotto dal legislatore solo  due mesi dopo l'avvenuta abrogazione dell'art. 23 bis, ignorando di  fatto la volontà referendaria. La consultazione di giugno avrebbe reso  prioritaria una discussione profonda in materia di spl, al fine di  intervenire in maniera razionale e sistematica in un settore da sempre  oggetto di continui ritocchi normativi. Ciò tuttavia non è avvenuto: il  decreto legge n. 138/3011 è stato votato in una situazione di asserita  emergenza, per rispondere al mercato. Il risultato, per quel che  concerne i servizi pubblici locali, è stato - come si è detto - la riproposizione della norma abrogata solo due mesi prima, con una scelta  che ha definitivamente segnato l'incapacità di una classe politica di  saper cogliere le novità politiche ed istituzionali generate dal  processo referendario. Ancora una volta, il legislatore ha posto le basi  per un processo di dismissione, segnato da uno sbilanciamento  dell'assetto delle gestioni a favore del privato, contribuendo alla  svalutazione degli stessi assets che saranno messi a gara, essendo  indiscutibile che una contestuale immissione sul mercato di numerosi  beni e servizi è idonea a determinare il crollo del loro prezzo. In  questo modo, il legislatore ha anche ignorato la maggiore autonomia che  il diritto comunitario assicura agli enti locali in materia di  definizione delle procedure di affidamento. 
Attualmente la  situazione è la seguente: l'art. 4 d.l. 138/2011 disciplina la gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ad  eccezione del servizio idrico e dei settori già esclusi dal Decreto  Ronchi, «liberalizzando tutte le attività economiche e limitando, negli  altri casi, l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui,  in base ad un'analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata  non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della  comunità». L'affidamento dei servizi avviene «in favore di imprenditori  o di società in qualunque forma costituite individuati mediante  procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto del Trattato  sul funzionamento dell'Unione europea e dei principi generali relativi  ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità,  imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione,  parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità» (comma  8); inoltre, per quel che concerne gli affidamenti a società miste, al  partner privato selezionato con gara a doppio
oggetto dovrà detenere  «una partecipazione non inferiore al 40 per cento» (comma 12). 
L'affidamento in house, possibile ma solo in via derogatoria rispetto al  regime ordinario, è ammesso «a favore di società a capitale interamente  pubblico che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento europeo per  la gestione cosiddetta in house», a patto che «il valore economico del  servizio oggetto dell'affidamento sia pari o inferiore alla somma  complessiva di 900.000 euro annui». Infine, è definito un regime  transitorio per gli affidamenti già in essere all'entrata in vigore  della nuova disciplina, determinandone la scadenza e la relativa messa a  gara (comma 32, lett. a, b, c, d). Se all'esistenza del regime  transitorio e del meccanismo delle gare a data certa si aggiunge da una  parte il "premio" che i Comuni riceveranno una volta effettuate le  dismissioni (l'art. 5 prevede infatti l'assegnazione di una somma non  sottoposta ai vincoli di spesa propri del patto di stabilità),  dall'altra la sanzione del commissariamento per gli enti che invece  risulteranno inadempienti alla data del 31 marzo 2012, non è certamente  infondato parlare di una violazione dei principi comunitari e  costituzionali dell'autonomia decisionale dell'ente locale.
Occorre  reagire, e subito, a questa situazione di illegalità diffusa, di  attentato alla Costituzione e di vulnus alla democrazia partecipativa;  occorre reagire agli ulteriori e attuali progetti politici dell'attuale  governo "tecnico" (fase 2) che intendono estendere gli effetti di tali  provvedimenti anche all'acqua. La reazione deve partire non "soltanto"  dal Forum dei movimenti per l'acqua pubblica e dai ventisette milioni di  cittadini che hanno votato contro le privatizzazioni "forzate", ma  anche da parte di tutte quelle amministrazioni locali che rivendicano il  rispetto della Costituzione e della loro dignità ed autonomia  decisionale. Democrazia partecipativa e democrazia locale, in una  dimensione nazionale, devono unirsi in una grande battaglia di civiltà,  una grande battaglia per i diritti.Una prima e importante occasione  per discutere di questi temi sarà il 28 gennaio a Napoli, giorno in cui  de Magistris ha invitato, nell'ambito del I forum dei comuni per i beni  comuni.

Nessun commento:

Posta un commento