18.3.11

La tragedia del Giappone e il nostro dolore

Quanto è successo, e sta succedendo, in Giappone è una tragedia dell'umanità.
Questo blog, chi ci scrive, chi contribuisce, chi lo allestisce, l'intero Laboratorio Giovanile Sociale ha sempre mostrato e lavorato nella piena consapevolezza che mentre la nostra vita scorre più o meno limpida in un paesino delle Marche, disfunzioni sistemiche e ingiustizie materiali falcidiano miliardi di persone. Con questa sensibilità, che è anche una consapevolezza, abbiamo lavorato e lavoriamo per costruire un mondo migliore partendo da Macerata e dai luoghi che viviamo: dai luoghi in cui si produce sapere, relazione e lavoro.
Eppure, quanto successo in Giappone mi appare oggi come qualcosa di veramente drammatico e inaudito, che disarciona le mie emozioni e fa scomparire la dignità della mia vita, forse perché avvenuto in maniera fulminea, improvvisa, per di più in uno dei Paesi più organizzati del pianeta. Alle decine di migliaia di morti, i cui cadaveri di nuovo annegano nell'acquitrino che ricopre la costa orientale, si affiancano tante, tante, troppe persone che sopravvivono, camminano in cerca di acqua, benzina, alloggio, cibo. Il governo non arriva, il monitoraggio del territorio non funziona, i soccorsi di tutti, Giappone e non solo, si dimostrano non all'altezza di una catastrofe naturale che ha trasformato anche gli artifici umani (la centrale, le dighe, i muri di protezione) in armi di distruzione. Non riesco a trovare altra immagine per riassumere gli articoli che leggo e le emozioni che provo se non quella di tante larve che camminano, dimenticate dagli dei e dagli uomini, che da ieri contrastano anche la neve e il freddo.
Ho letto di famiglie che da 7 giorni sopravvivono con 60 cl d'acqua, di bimbi morti di freddo... E forse la realtà supera l'immaginazione, come neanche Cormac MacCarthy in The Road.
Tutto questo è assurdo se pensiamo che flotte aeree e navali stanno partendo da tutto il mondo per la Libia e che una centrale nucleare fonderà a pochi chilometri dai luoghi disastrati. E' una fuga dall'inferno.
Perché non andare con le navi sulla costa, prendere le persone, e portarle nell'intatta Tokyo? Perché non consegnare una-due persone a ogni famiglia giapponese, per prendersene cura? Perché NESSUNO attracca là?
E come ci interroga quello che sta succedendo? Quanto il dolore e la sofferenza che così, di punto in bianco, sono piombate in questo mondo ci fanno davvero stare male?
Con quale dignità possiamo oggi andare in un pub, ascoltare la musica, mangiare un gelato, o anche parlare di Costituzione e Berlusconi, davanti a tutto questo?
Cosa possiamo fare, ancor di più, mai abbastanza, per cambiare davvero qualcosa, per alleviare la sofferenza, per azzerare le responsabilità e i crimini umani?

Stefano

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